SIAMO FIGLI3 DELLA TEMPESTA – Documento politico del Ragusa Pride 2025

  

Domenica 29 giugno a Marina di Ragusa arriva il Ragusa Pride 2025, e sarà tempesta!

Mancano poco più di due settimane al Ragusa Pride 2025 e già si preannuncia la burrasca. Anzi, la tempesta, come recita lo slogan scelto per questa quarta edizione dal comitato organizzatore: Siamo figli3 della tempesta.

Una tempesta colorata, rumorosa e multiforme, come è tipico dei Pride, ma con un messaggio forte che è ben esplicitato nel documento politico dell’evento.

Lo sguardo è dunque ampio e va oltre gli steccati identitari, uno sguardo intersezionale che riconosce l’intreccio delle diverse forme di oppressione: razzismo, sessismo, abilismo, marginalità geografica e sociale, sfruttamento lavorativo.

Uno sguardo che abbraccia una dimensione internazionale e si sofferma in particolare sul genocidio del popolo palestinese e sugli orrori delle guerre, di fronte ai quali non si può restare in silenzio.

Non c’è giustizia nei Pride se non c’è giustizia a Gaza, non esiste pace e giustizia per nessunə, finché un popolo viene privato del diritto alla vita, alla dignità, alla libertà”, conclude il documento politico. E non ci sono dubbi che il Pride 29 giugno sarà sì una festa, ma sarà soprattutto un Pride di protesta.

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SIAMO FIGLI3 DELLA TEMPESTA

Documento politico del Ragusa Pride 2025

 

C’è il tempo dell’arcobaleno, e c’è il tempo della tempesta.
Il tempo della festa, e il tempo della lotta.

Il Pride 2025 non può essere solo una festa.
Poiché il mondo intorno a noi ha ricominciato a negarci, a censurarci e a colpirci, il nostro Pride deve essere anche un momento di lotta.
L’orgoglio serve a renderci visibili, ma non basta più a proteggerci quando le conquiste del passato sono sotto attacco, e il futuro ci chiama a resistere.
Oggi tuttə noi, insieme, scegliamo di divenire tempesta.

In Ungheria, il governo ha vietato i Pride, negando i nostri corpi politici, le nostre storie disobbedienti.
Negli Stati Uniti Trump ha vietato le parole che ci servono per nominarci e per difenderci.
Ovunque, l’avanzata delle destre estreme e fasciste sta mettendo in pericolo le nostre esistenze.

Anche in Italia, il governo Meloni ha imboccato una strada insidiosa e violenta: censura l’educazione alle differenze nelle scuole, attacca i percorsi di affermazione di genere, cancella le figlie e i figli delle famiglie omogenitoriali dagli atti pubblici.

Esercita violenza istituzionale verso la nostra comunità e legittima la violenza omolesbobitransfobica verso le persone Lgbtqia+.

Hanno paura.
Non della “teoria gender” — che non esiste. Ma del pensiero critico, della libertà, della possibilità di un mondo plurale e complesso.
Un mondo che non possono controllare, perché rifiuta l’obbedienza cieca al patriarcato, alla famiglia eteronormata, al binarismo imposto.

E allora oggi, da Ragusa, da questo angolo di Sud che non accetta più di essere vittima, ma rivendica il diritto di essere margine consapevole e resistente, diciamo BASTA!

Diciamo che l’orgoglio non è una parata: è una dichiarazione di esistenza.
È memoria delle lotte di chi è venutə prima.
È responsabilità verso chi verrà dopo.

Anche per questo quest’anno abbiamo fatto una scelta chiara: non avere testimonial. Perché ognunə di noi è già testimonial con la propria vita e perché il Pride non può e non deve essere un evento commerciale ma una manifestazione che nasce dalle persone, per le persone.

Siamo figliə della tempesta perché siamo cresciutə in un Paese che ci ha detto che eravamo sbagliatə.
Ma abbiamo imparato a navigare anche nel maltempo e a costruire rifugi quando non c’erano.

E non ci fermeranno.
Non i divieti.
Non la censura.
Non i tentativi di riscrivere la realtà per compiacere un ordine violento.

Le nostre rivendicazioni sono chiare:

  • Vogliamo educazione sessuale e affettiva nelle scuole, accessibile, scientifica e laica.
  • Vogliamo percorsi di affermazione di genere garantiti e sicuri in ogni Regione.
  • Vogliamo il matrimonio egualitario e il pieno riconoscimento delle famiglie omogenitoriali.
  • Vogliamo una legge contro l’omolesbobitransfobia.
  • Vogliamo che nessunə debba più scegliere tra essere sé stessə ed essere cittadinə di serie B.

Vogliamo un’Italia e un mondo in cui tutte le identità siano riconosciute,
ma non vogliamo fare dell’identità un recinto o una zona di privilegio.

Il nostro Pride è intersezionale.
Perché non esiste liberazione queer senza lotta contro ogni altra forma di oppressione.

Riconosciamo che le discriminazioni si intrecciano:
l’omolesbobitransfobia si incrocia con il razzismo, il sessismo, l’abilismo, la povertà, la marginalità geografica e sociale, lo sfruttamento lavorativo e il lavoro povero.
Essere queer al Sud, essere queer e migrante, essere queer e disabile, essere queer e precariə, significa vivere più fronti aperti, più stigmi, più rischi.

Non ci sono diritti veri se non sono diritti per tuttə.

Per questo lottiamo insieme alle persone razzializzate, alle persone con disabilità, ai lavoratori e alle lavoratrici sfruttatə, a chi ogni giorno è schiacciatə dal privilegio di pochi.

L’intersezionalità è il cuore politico del nostro Pride.
Perché la libertà o è collettiva, o non è.

L’intersezionalità è coscienza della necessità di solidarietà tra tuttə lə oppressə del mondo superando nazionalismi, confini, rigidità culturali ed etnocentrismi.

E vogliamo dire, con forza e con rabbia, che non c’è giustizia nei Pride se non c’è giustizia a Gaza, così come in tutte le zone di guerra, che la pace è possibile solo in un’ottica di disarmo mondiale e smilitarizzazione.

Mentre marciamo con i nostri colori, dall’altra parte del Mediterraneo piovono bombe su bambinə, donne e uomini affamatə.
Non possiamo restare in silenzio di fronte a un genocidio.

Non esiste pace e giustizia per nessunə,
finché un popolo viene privato del diritto alla vita, alla dignità, alla libertà.

Essere queer è anche dire che nessuna liberazione è vera se non è liberazione di tuttə.

Essere queer è anche rifiutare il machismo patriarcale di una cultura militarista e nazionalista.

 

Questo è il nostro tempo.

Non solo quello della pioggia.
Anche quello del tuono.

Non più e non ancora quello dell’arcobaleno, ma quello del fulmine e della tempesta.

È rabbia che si fa speranza,
è furore che si fa lotta,
è amore che non chiede permesso.

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